“Siamo gli attori ingenui sulla scena di un palcoscenico misterioso e immenso”

Camminava al limitare della foresta,
volgendo lo sguardo nel profondo degli alberi. Ne cercava l’essenza,
la natura: era risolutamente intenzionato a comprenderla prima di
entrarvi.
L’alba illuminava di sbieco le conifere
fitte e brune, e notò alcuni bucaneve nel prato, pronti a
ricevere il sole che sapevano ormai imminente.
Si fermò di fronte ad un grande
abete e rimase a fissarlo: sapeva che era tempo di inoltrarsi nel
bosco. Non aveva che quel giorno e bisognava sfruttarlo bene. Si
volse un’ultima volta a guardare il profilo nero delle montagne
all’orizzonte, nitido nel cielo mattutino, e la fredda distesa
davanti a sé.
Poi si sistemò lo zaino sulle
spalle e si incamminò nel folto degli alberi. Già dopo
pochi passi sentì che l’aria si faceva profumata e pungente,
in maniera decisamente piacevole: risvegliava i suoi sensi. Camminava
su un tappeto di vecchi aghi di pino coperti di brina della notte,
facendoli scricchiolare, e godeva del silenzio e della penombra. Non
era affatto sicuro di dove lo conducesse la traccia che stava
percorrendo, ma aveva fiducia che presto o tardi avrebbe trovato quel
che stava cercando. Col passare del tempo il bosco si riempiva di
vita: uccelli, insetti e animali (uditi o solo intuiti nel
sottobosco, più che incontrati) si svegliavano col giorno.
Tante domande gli turbinavano fra i
pensieri.
Si fece largo in un cespuglio di
ginepro, pungendosi le dita, e si trovò presso un corso
d’acqua limpido e gorgogliante. Né ruscello né
torrente, rallegrava con la sua canzone quella striscia di bosco.
Oltre la foresta continuava, ma si intuiva che gli alberi si facevano
un po’ più radi; qualcuno aveva costruito un guado di pietre
piatte poco lontano da dove si trovava. Il sentiero proseguiva
dall’altro lato verso quella che aveva tutta l’aria di essere una
radura. Pieno di nuova sicurezza, lo seguì. La radura era più
o meno esagonale e non molto grande; sul lato occidentale c’era una
collinetta. Sulla cima, una tenda. Intorno, silenzio. I resti del
fuoco della sera precedente erano ben visibili ai piedi del piccolo
rialzo. Diede uno sguardo alla scena, sorrise, e dopo aver appoggiato
il suo zaino contro un albero, ci si sedette sopra. Aspettava col
gusto di chi sa godere l’attesa, rivolto verso la tenda blu e verde,
senza tuttavia guardarla davvero. Se guardava qualcosa, certamente
non era nulla di interno al suo campo visivo.

Dopo poco (quanto non avrebbe saputo
dirlo), la cerniera fu abbassata e qualcuno uscì dalla tenda
stiracchiandosi e guardandosi in giro con occhi ancora carichi di
sonno. Non lo vide subito. Portava una T-shirt piuttosto lisa e un
paio di jeans scoloriti: faceva venire freddo solo a guardarlo, ma
dal canto suo sembrava non preoccuparsene affatto. Sebbene non fosse
cambiato per niente, in qualche modo gli parve diverso.
“Cosa ci fai qua?” chiese con voce
incerta quando l’ebbe visto dall’altra parte del prato, accovacciato
sullo zaino.
“Ti aspettavo” rispose l’altro
mentre si alzava e cominciava a frugare nelle profondità
sferraglianti dello zaino. “Accendi il fuoco che si fa colazione!”
Tra il baldanzoso e il perplesso,
l’altro afferrò l’acciarino e si diede da fare intorno ai
resti di legna semi carbonizzata della sera prima. Quando fu riuscito
a suscitare una fiammella, la alimentò con delle foglie secche
e qualche ramoscello, poi sollevò la testa giusto in tempo per
vedere l’altro tornare dal ruscello con in mano una caffettiera, che
stava stringendo. Presto l’odore del caffè riempì la
radura, strano ed effimero profumo, una novità per gli alberi
che li circondavano. Lo bevvero piano.
“Bello qui…C’è silenzio.
Come ti trovi?”
“Non c’è male, non male
davvero”, rispose, guardandosi le mani “Ho tutto quel che posso
desiderare acqua in abbondanza e luce quanto basta, qualche fungo e
tra poco cespugli interi di lamponi! Poi le trote del fiume, qualcuna
quando ho fortuna. Gli uccelli mi tengono compagnia e i daini non
hanno quasi più paura di me: si sono fatti ardimentosi! Senza
contare che ho a disposizione un bel prato morbido su cui coricarmi:
le rocce sono pochissime, ci hai fatto caso? La migliore moquette che
potessi sognare! Non posso proprio lamentarmi”.
“Trote? Non dirmi che hai imparato a
pescare!”
“Sì, con la lenza. Se hai
voglia stamattina ti faccio vedere: c’è un buon posto poco più
avanti lungo il torrente”.
“E a pranzo, trota alla brace! Ho già
l’acquolina in bocca!”
“Vedremo…non dire gatto finché
non ce l’hai nel sacco!” rispose l’altro poco fiducioso.
“Non dire pesce finché di
prenderlo non ti riesce! Oppure…non dire trota finché sul
tuo spiedo non ruota!” chiosò sornione l’amico.
Risero di gusto finendo quanto restava
del caffè.
“Forza allora! Diamoci una mossa, che
se no altro che spiedo!” disse da dentro la tenda, dove aveva
ricacciato la testa. Ne riemerse con due rocchetti di nylon da pesca,
un barattolo pieno di quella che sembrava insalata vecchia e qualche
amo in mano. “Questo portalo tu per piacere” disse allungando il
barattolo all’altro, che glielo prese dalle mani: era perplesso ed
incuriosito. Dopo averlo scrutato per bene, chiese ghignando:
“Interessante. Studi la decomposizione dei vegetali adesso?”
“Ma no! Ci tengo i lombrichi! Ho
provato a tenerli in un barattolo di terra, ma poi faccio fatica a
trovarli! E in un barattolo vuoto, mi sembrava di tenerli in
prigione…Così ho risolto con le foglie! Diciamo che ho messo
un po’ d’arredamento…”
“Ah. Capisco. In sostanza è
come se avessi messo il parquet per terra lungo il miglio verde, e
incollato una carta da parati luminosa ai muri! Tanto il loro destino
è segnato!” Che buffo, pensava.
“Lo so, ma mi fa sentire molto
meglio”.
“Mah!”
Frattanto si erano incamminati nel
bosco lungo il fiume, e dopo non molto giunsero in un punto dove il
fondale si abbassava formando una pozza profonda. Si sedettero su una
gran pietra sul bordo dell’acqua e prepararono le lenze, legandole
agli ami. I lombrichi dal canto loro non dimostrarono emozione
alcuna: nessuna nostalgia del barattolo mentre venivano estratti dal
loro loft di foglie putride. Al contrario, affrontarono l’amo
con grande dignità. Trafitti per riempire le pance di trote e
uomini, andavano incontro al loro destino consapevoli dell’utilità
sociale del loro gesto. O almeno, così si sarebbe detto. Forse
non erano solo vermi insensibili. Vai un po’ a sapere cosa passa per
la testa di un verme nel momento estremo del sacrificio.
Fu una mattinata di lezioni di pesca e
risate. Era tempo che non stavano così piacevolmente insieme.
La pesca non fu certo abbondante (solo una piccola trota a testa), ma
sufficiente a galvanizzare i loro animi. Non capita a tutti di
prendere un pesce al primo tentativo. Fortuna del principiante?

Non esiste pasto, per quanto frugale
sia, più gustoso di quello che ci si è procacciati con
le proprie mani: quei pesci avevano il sapore della soddisfazione.
Dopo pranzo si stesero al sole sul fianco della collinetta; le nuvole
correvano nel cielo incorniciato dagli alberi. Per un poco, nessuno
disse nulla. Uno masticava assorto un filo d’erba, l’altro giocava ad
intagliare col coltellino svizzero un pezzetto di legno che aveva
raccolto da terra.
“E dimmi, come vanno le cose a casa?”
“Come vuoi che vadano, sempre uguali.
Sempre noiose in maniera affascinante. Spuntano le foglie sugli
alberi, i nostri genitori invecchiano, la destra vince le elezioni e
lo fa in maniera preoccupante, io aspetto le rondini con impazienza”.
“Davvero?…E perché le
rondini scusa?”
“Perché prima arrivano prima
se ne andranno: non vedo l’ora di finire e di potermene andare un po’
anche io. Rimandare, quello mi snerva. Come se non fosse già
abbastanza difficile prendere la decisione di partire!”
“Mi domando se sia peggio decidere di
partire, o decidere di ritornare…”
“Credo che siano due cose simili,
dipende da che genere di persona sei. In ogni caso, come al solito,
la difficoltà sta nel guardarsi allo specchio e assumersi la
responsabilità di mettersi alla prova”.“Nell’uscire dalla situazione
comoda”.

“Qualcuno ci diceva sempre che si
cresce solo risolvendo problemi…forse non intendeva
questi
problemi, ma mai come oggi le do ragione. E mi sento già un
po’ cresciuto.”

“E quanti problemi hai risolto?”
“Risolto? Nessuno temo! Ma almeno, ho
smesso di pensare di non poterci provare!”. Sorrise, più con
gli occhi che con la bocca.

Pochissime parole finirono al vento,
quel pomeriggio. Molte le cose da dire, grande il piacere
d’ascoltare.

Verso le cinque, caricatosi lo zaino
sulle spalle ancora una volta, si incamminarono insieme verso il
limitare della foresta. “Mi piace molto come ti sei sistemato”,
gli disse dopo un po’, “non avrei potuto chiedere di meglio per
te”.
“Tra pochi giorni il lago sarà
completamente scongelato. Allora forse si potrà attraversare
in barca” disse l’altro con voce pensierosa. Per un attimo un’ombra
sembrò attraversare i suoi occhi. Ma fu meno di un battito di
ciglia. Si fermarono sul bordo del bosco a guardare la distesa
d’acqua ghiacciata, illuminata dal sole che cominciava ad abbassarsi
sull’orizzonte. Era un bello spettacolo. Il sentiero correva lungo la
sponda orientale, fiancheggiata dai giunchi.
Si abbracciarono. “In tal caso, ti
aspetterò dall’altra parte, amico mio!” disse levando lo
sguardo. Poi si volse e si incamminò di nuovo, questa volta
con il sole negli occhi.

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