La mia anima abita il mio corpo. Fin qui tutto regolare: è padrona assoluta di ognuna delle mie
cellule nervose, muscolari, ossee o epiteliali, risiede in ogni singolo globulo rosso, in tutti i linfociti. Scorre attraverso le mie vene e i miei vasi linfatici, percorre i miei nervi insieme agli impulsi elettrici. E vi posso assicurare che si trova benissimo, sta come un pascià; d’altronde sono arredato con gusto e la terrazza panoramica offre una vista a quasi 180 gradi sul mondo, senza contare che nessuno sta mai bene come a casa propria…e la mia anima è nata qui 19 e rotti anni fa, e non ha mai dato segno di volersi trasferire (anche se mi risulta che Lassù concedano ad ogni anima un trasloco solo, per motivi straordinari o per scadenza del contratto d’affitto e conseguente sfratto).
Poi c’è il mondo di fuori: provate ad immaginare di avere un’attico spazioso e bene ammobiliato, con tutte le comodità e terrazzo a tetto, piante rampicanti e nani di terracotta (c’è gente a cui piacciono); metteteci dentro tutto quello che avete sempre desiderato, create la casa perfetta; ora mettetela in mezzo al nulla: in una landa desolata, in mezzo a una fitta foresta o in una città abbandonata del Far West, magari a fianco al vecchio Saloon, in cui nessuno mette più piede da un secolo. Voi, la vostra bella casa, la sabbia e i ruderi che marciscono. Vi piacerebbe ancora vivere lì? Non credo.
Questo per dire quanto importante per una persona sia l’ambiente in cui vive, quanto lo siano soprattutto le persone con cui lo condivide.
Ebbene non so le vostre, ma la mia anima, quando si sporge un po’ fuori del corpo e va alla ricerca di -come chiamarli?- spiriti affini, ha l’impressione di nuotare nella melassa. Non è difficile fare nuove conoscenze, intendiamoci, il mondo è pieno di gente simpatica. Tuttavia è addirittura ostico stringere un rapporto, superare il livello del fare due chiacchiere, costruire qualcosa con qualcuno/a perché semplicemente si intuisce che con quella persona si può, che ne vale la pena, che arricchirebbe tutti e due. Credo di sapere anche il perché: il problema è che non ci si fida che di se stessi, della propria metaforica schiena. A ognuno il suo, ognuno porta la sua croce e tendenzialmente non si arrischia a farsi aiutare dal primo Simone di Cirene che passa. Chissà che non ci lasci in braghe di tela a metà strada, proprio quando cominciavamo a sentirci un po’ sollevati…non sia mai! Piuttosto facciamo tutto da soli.
Negli ultimi tempi ho ascoltato attonito due dei miei più cari amici fare questo discorso: "Gli amici non te li scegli, capitano. Io non faccio niente per un’amicizia, tanto se deve crescere, cresce da sola, non abbiamo nessun controllo su di essa. Le persone vanno, le persone vengono, io prendo quello che capita".
Bene, è la più grande cazzata della Terra. E’ vero, non ci è dato sapere chi incontreremo sulla nostra strada, e non ci scegliamo le conoscenze, si conosce chi si incontra. Ma ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di SCEGLIERSI GLI AMICI. E poi ha il conseguente dovere di LAVORARE sodo per costruirla, un’amicizia: perché pochissimi sono i casi in cui si costruisce da sola. Ti deve veramente andare di culo.
Mi piace pensare ai rapporti come a una rete di fili che ognuno tiene in mano. Dalle mani di tutti partono fili che arrivano nelle mani degli altri, un capo per uno. A seconda di quanto il rapporto è stretto, il filo è più o meno teso.
A parte quelli della mia famiglia, tengo in mano una decina di fili, non di più, particolarmente tesi. Le persone che stanno dall’altra parte le ho letteralmente prese al lazo: le ho conosciute, le ho apprezzate, le ho stimate. Poi ho preso la mira e ho lanciato il mio filo. Ora, sapete bene che un filo sta in tensione solo se è tirato da entrambi i capi, e che è difficilissimo tendere un filo male assicurato: di solito ti resta in mano (ogni tanto è successo); e qui sta il difficile, perché per me non è mai stato problematico concedere la mia fiducia a qualcuno: è sempre stata un’impresa essere sicuro di avere la fiducia degli altri! Così sono andato avanti a tentoni, come si fa per saggiare una corda: ho tirato prima piano, poi un po’ più forte, nella speranza che chi era di là si accorgesse del guizzo del filo, e decidesse di stringere un po’. Ognuno naturalmente è libero di tendere i propri fili quanto vuole, e di fare delle scelte. La tensione finale del filo di solito è una buona media tra le intenzioni dei due, ma c’è sempre qualcuno che vorrebbe di più, e che continua a dare piccoli strattoni di avviso: "Ehi, guarda che questo filo tiene, guarda che lo sottovaluti, guarda che potresti chiedergli di più, guarda che io vorrei chiedergli di più!". Questo ruolo, questa condizione di pesce (un pesce folle, ok) che sta attaccato all’amo di un pescatore distratto e tira per farsi sentire filo finché quello non si ripiglia, si accorge di lui e lo tira su (veramente masochista questo pesce, lo ripeto), è la melassa in cui nuota l’anima, è qualcosa di terribilmente sbagliato, perché è unilaterale. Ci credo che il pesce sembra folle, è un pesce ridotto così male da dover fare in modo che lo peschino: è un pescatore che a un certo punto diventa pesce, un paradosso. Finché può fa da solo, sceglie, prende la mira e lancia il suo filo; poi deve per forza farsi pesce perché dall’altra parte non viene un impegno simile, dall’altra parte c’è uno che non vuole quel filo (ne ho incontrati pochi) o uno troppo pigro per fare qualcosa (ne incontro continuamente). Questo è il motivo per cui alla fine i fili tesi sono pochi. Ma perché deve essere così? Perché bisogna che sia così difficile? Perché siamo diventati così diffidenti? Non so se vi è mai successo, ma credetemi è frustrante al massimo avere a che fare con qualcuno che si stima molto e a cui si è pronti a dare tutta la propria fiducia, e non riuscire a farsi dare la sua; "e che, non sono forse degno della tua fiducia?" Le risposte che uno può darsi sono due, una volta sicuri di aver dato il massimo: in tutta onestà e senza offesa, ma no non ne sei degno, non vai bene per me. Si può accettare e capire una risposta simile, è umana se non altro. Ma la seconda risposta possibile, quella mi spaventa: no io non do fiducia completa a nessuno. Questa è un classicone, è una risposta da manuale di chi è arrivato alla filosofia dell’ogni uomo è un’isola, e si sente circondato da persone se non ostili, almeno estranee.
La mia fatica è proprio accorgermi che ce ne sono tanti che tendono a pensarla così. Sebbene io non mi senta circondato da estranei, sono costretto a vivere come se lo fossi semplicemente perché gli altri vedono me come un estraneo. Volente o nolente, la società dice questo. Dice ognuno per sé. Dice: "No grazie Simone, faccio da me con questa croce", e non pensa che Simone forse aveva bisogno di portarla quella croce, ne aveva bisogno per sé, per non sentirsi un’isola.